Categoria: mostre
IL SOGNO RITORNA – Mostra fotografica di Giuseppe Morandi
Palazzo del Comune di Cremona
La mostra racconta la storia di una famiglia indiana e della sua integrazione
La presentazione si terrà il 1 novembre dalle ore 15,30 alle ore 17,45 nel Salone dei Quadri
Orari di visita: nei giorni feriali dalle ore 9 alle ore 18,30; nei festivi dalle ore 10 alle 18
Interverranno il Professor Bruno Cartosio, Docente di Storia dell’America del Nord all’Università di Bergamo e Paolo Barbaro, docente presso l’Università Statale di Parma.
Contestualmente sarà presentato il nuovo catalogo fotografico dell’opera di Morandi, edito Mazzotta, dal titolo Vecchi e nuovi volti della bassa padana, con i contributi di Arturo Quintavalle, Ivan Della Mea, Peter Kammerer.
L’iniziativa culturale propone una riflessione su quanto stia cambiando e sia mutato il nostro paesaggio rurale anche e proprio in virtù dei nuovi ospiti che si occupano dei lavori sulle terre e nelle stalle delle nostre campagne. Ci si interroga su quanto questa trasformazione del tessuto sociale possa restituirci il sogno di un rinnovato rapporto uomo-terra.
“E` stato il giorno di Pasqua 2002. Jagjit e Puspha si vestono per portare gli auguri agli amici. Tirano fuori dall`armadio i vestiti più belli, quelli di seta, di colore, quelli dell` India. Morandi incontra i due nella casa della “maga Adele”. Capisce tutto. Il sogno dell`India portato come dote nella Bassa. E di più: I più umili, una volta i Paisàn, oggi gli immigrati, tessono la stoffa della quale sono fatti i sogni veri. Grazie a loro il sogno ritorna. Nei meandri della storia il patrimonio umano di una classe eliminata riemerge da altre origini e in forme del tutto nuove. Il grande racconto iniziato da Morandi nelle fotografie di cinquanta anni fa ha trovato una fine (ma la storia continua) imprevista e imprevedibile, intuita e profetizzata allora solo da un poeta:??”Scoppia un nuovo problema nel mondo. Si chiama colore.?Si chiama colore, la nuova estensione del mondo.”
Con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Cremona
Contestualmente è stato pubblicato il nuovo catalogo fotografico dell’opera di Morandi, edito Mazzotta, dal titolo Vecchi e nuovi volti della bassa padana, con i contributi di Arturo Quintavalle, Ivan Della Mea, Peter Kammerer
Il libro di Giuseppe Morandi
di Giovanna Marini
Di solito non mi emoziono quando guardo i libri di fotografie, li apprezzo, mi fanno sognare se sono foto inventate, che raccontano storie, ma come quelle che racconta Morandi non ne ho trovate mai.
Questa sera sfogliavo il libro e sorridevo e capivo: una storia di affetti innanzi tutto, solo dei nomi e delle immagini con occhi che parlano, positure che parlano, acconciature, sorrisi, tutto parla , anche i bambini seri, o sorridenti o imbronciati parlano, tutti ti raccontano una storia.
Si va dai pumater, al vuoto lasciato dai bergamini che non ci sono più le vacche ma loro ci sono ancora, come Pierino Azzali, il papà del Micio, seduto con fermezza sulla panca, e tutti sono statuari, degnissimi, a nessuno di questi che ti fissano dal libro e sembra che ti dicano” Guardami un po’, sì sono proprio io e sono proprio così, bé?! Ecco a nessuno di questi puoi dire ladro, manipolatore, buffone, questa è gente, e si capisce che Giuseppe Morandi ti sta dicendo “Questa è la mia gente, e io me li porto dentro così come sono, e io sono come loro e ne sono fiero”. Quanto ci dice questo libro.
Dai vecchi che ci fissano tutti, ai giovani che ci fissano anche loro ma ridendo alcuni, alla sconosciuta che non ci guarda e chissà dove guarda cosa vede, ai due intellettuali, Gianni Bosio e Mario Lodi, che guardano altrove sfuggendo il rapporto diretto con l’obiettivo. Tutti sono lì per un motivo preciso: la vita è esistere pienamente ed è così che ci sentiamo, vivi.
A guardare questi sguardi, Duilio Braga, le ragazze di vicolo Pozzo, Fioni, Angelo Malinverno, la bambina Federica Gorni, la signora Flavia Brunelli, la vecchia Carmagnani e li pumateri, e tutti gli altri, è un racconto, non solo di lavoro nei campi, un racconto che si porta dietro uno stile di vita un modo di credere nell’altro, una serenità nel pensare , che non conosciamo più, la pensiamo, sì, ma solo con rimpianto. Con queste foto siamo negli anni ottanta, possibile che oggi si sia cambiati, così tanto? Ora il libro porta foto fatte nel 2000, arrivano gli stranieri, gli indiani che anche nel 2001 ti guardano dritto nell’obiettivo e sorridono, Jagjit Rai Metha e Pushpa Devi e i loro figli e i loro genitori, oggi popolano Piadena e la pianura, sono loro a guardarti dritto sorridendo con quella stessa nostra grande dignità. E’ una raccolta di persone degne che vogliamo avere per amici, la storia dei personaggi di questo libro non la conosciamo ma ora è come se li conoscessimo intimamente, in profondità, e sappiamo che anche loro, insieme a quelli che abbiamo scelto per amici vicini, fanno parte di una vita che Giuseppe Morandi ha eletto come vita da ricordare, da tramandare, da fissare. Io ti ringrazio proprio Giusep, mi hai convinto, questo è un libro bello e le nostre storie sono tutte belle storie.
Il sogno ritorna*
Peter Kammerer
Più di cinquant’anni fa Giuseppe Morandi scattava, sedicenne, le sue prime fotografie, mosso, racconta lui, dalle immagini dei filari, degli amici e di sua cugina. Aveva trovato un modo suo di mettersi in rapporto con il mondo. Così, ancora prima del risultato estetico, Morandi scopre l’immagine come rapporto umano e sociale vivo. Questa vitalità dà alle sue foto qualche cosa di più di una memoria e trasforma la nostalgia che altrimenti ci stringerebbe il cuore e basta. Mettendo insieme le mostre organizzate da Morandi e dalla Lega di cultura di Piadena, coautrice paziente del suo lavoro, i fotogrammi si trasformano in un potente flusso di immagini che raccontano quanto è accaduto agli uomini e alle cose a Piadena in questo ultimo mezzo secolo. Quanto è accaduto sotto i nostri occhi è così sconvolgente che rifiutiamo di rendercene conto fino in fondo aggrappandoci a una normalità sempre più irreale. Ma sappiamo benissimo che abbiamo assistito ad avvenimenti straordinari, a un salto della storia, alla distruzione di un mondo e alla nascita di un altro.
Il primo grande ciclo di fotografie di Morandi mostrava una classe, il suo modo di vivere e quindi un suo mondo vissuto che stavano per essere distrutti. I paisan si trasformavano in operai o in piccola borghesia. “I vecchi braccianti, cavallanti, bifolchi, mandriani, bergamini e le loro mogli sono trasportati al ricovero. Piangono. Si affannano. è finita” (volantino della Lega di cultura, I maggio 1967). Il capitale agrario si ristrutturava.
Qualche decina di anni dopo i campi svuotati dagli uomini risuonano del lavoro dei trattori e di gigantesche macchine agricole; le cascine, i vecchi luoghi di comunità, ma anche di pena, si trasformano in depositi o in ruderi. è stata un’epopea: un’intera popolazione con nonni, bambini e animali domestici si è trasformata, ha cambiato i suoi costumi e lasciato dietro a sé un patrimonio muto di pietre e di memoria. Quando negli anni ’60 Morandi fotografava gli ultimi paisan non si sapeva nulla ancora di questo approdo in un nuovo paesaggio umano e agroalimentare, che sarà documentato e raccontato poi nelle foto degli anni ’80 e ’90. C’era chi accusava Morandi di fotografare i paisan come se fossero gli ultimi mohicani, ma lui faceva le sue foto per un riscatto di dignità, proprio per non finire nelle riserve. Non credeva nel futuro della piccola borghesia, la vera vincitrice delle lotte del XX secolo, anche se ha dedicato due volumi (Cremonesi a Cremona e Quelli di Mantova) alla sua immagine ambigua e oscillante tra ottusità e progresso, tra corpi di consumo e corpi di lavoro. Non sono immagini che fanno sognare, anche se Morandi, in questo per fortuna poco ideologico, trova ovunque, in qualsiasi ambiente umano, uno paio di occhi che illuminano il futuro.
Ora invece, con la nuova mostra, “il sogno ritorna”. Cosa vuol dire questo titolo dato alle fotografie della famiglia di Jagjit e Pushpa Mehta Rai fatte a Piadena nel 2002? La chiave della mostra mi pare siano i due grandi ritratti degli sposi in ricco costume indiano, sotto un albero di ciliegi giapponesi con i suoi fiori rosa, il tutto a colori smaglianti (rari nell’opera del Morandi che privilegia nettamente il bianco e nero). Non appaiono veri, diciamolo, rasentano il kitsch con queste citazioni esotiche di un mondo lontano e felice. Facile scambiarli per pubblicità, difficile accettare l’idea che qui, tra le nebbie della Bassa, le Mille e una notte siano scese in qualche cascina superstite. Se fossero vere, queste immagini sarebbero la prova di un sogno che né i paisan, né nessun altro a Piadena ha mai avuto la possibilità o il coraggio di fare. Perciò la difficoltà di riconoscerle, perciò il riferimento alla pubblicità o al folclore turistico, versioni tanto note quanto alienate dei nostri desideri. Ma queste foto del Morandi sono vere, sono realtà.
Lo dimostrano le venticinque altre foto dedicate al contesto nel quale vive questa coppia indiana. Possiamo leggere tutta la mostra come il seguito di La mia Africa, ma centrata su una sola famiglia e quindi approfondita (quarant’anni fa è stata la famiglia Azzali la chiave fondamentale per capire la condizione dei paisan). Apre Simona, la piccola figlia, con un passo di danza nel cortile. La vediamo con aria di sfida nella foto di famiglia in un cortile alberato di Piadena e poi cavalcare sulle spalle del padre, giocare insieme al fratello Hani e ancora con il fratello fare i bagni in due bidoni pieni d’acqua. Nulla pare distingua la loro infanzia dalla nostra. Non pare nemmeno più strano vedere tre bambini indiani davanti al Comune o due madri indiane davanti alla facciata di mattoni del tempio. Gli elementi edilizi che appaiono, mattoni, tegole e legno, fanno parte del grande universo contadino che va dall’India alla Bassa e consentono forse a chi arriva dalle campagne dell’India una certa familiarità con l’ambiente nuovo.
è una famiglia “arrivata”, tutta allegra con la sua macchina nuova nel cortile. Dopo vent’anni di soggiorno Jagjit ha la cittadinanza italiana. Ha fatto vari lavori (venditore di patatine al Circo Orfei, cuoco in un ristorante a Modena) e ormai fa il bergamino, ben pagato perché nessuno vuole o sa più fare questo mestiere, impegnativo per il lavoro di notte, ma non massacrante come una volta. Lo fa con competenza e grazia (dovuta si dice a quel rapporto particolare della cultura indiana con gli animali). Anche Pushpa lavora. La vediamo insieme a maestre e tre bambini in un asilo dove fa le pulizie.
Un’ultima parte dell’inchiesta inizia con una foto di famiglia davanti alla casa e una foto dei genitori in visita a Piadena (con la vita dura iscritta nel viso della madre), per finire in un gioco di sguardi da sotto la porta e di travestimenti. A Jagjit piace raccontare il passato nel presente usando i vestiti. E la famiglia partecipa. Bellissimo l’uso della tenda, del siparietto che divide il dentro dal fuori. C’è una foto dal dentro: Jagjit coperto dalla gianghia vicino alla finestra nell’intimità di una persona adulta e innocente.
è stato il giorno di Pasqua 2002. Jagjit e Pushpa si vestono per portare gli auguri agli amici. Tirano fuori dall’armadio i vestiti più belli, quelli di seta, di colore, quelli dell’India. Morandi incontra i due nella casa della “maga Adele”. Capisce tutto: il sogno dell’India viene portato come dote nella Bassa. E di più. I più umili, una volta i paisan, oggi gli immigrati, tessono la stoffa della quale sono fatti i sogni veri. Grazie a loro il sogno ritorna. Nei meandri della storia il patrimonio umano di una classe eliminata riemerge da altre origini e in forme del tutto nuove. Il grande racconto iniziato da Morandi nelle fotografie di un mezzo secolo fa ha trovato una fine imprevista e imprevedibile. E la storia continua.
Urbino, agosto 2011
Il sogno ritorna*
Peter Kammerer
* La mostra, curata da Paolo Barbaro, CSAC dell’Università di Parma, è stata allestita a Piadena (Cremona) nel 2002, a Cavezzo (Modena) nel 2004-2005, a Busseto (Parma) nel 2004, a Tondela (Portogallo) nel 2006, a Volterra (Pisa) nel 2008.
MORANDI E MICIO NEGLI USA
The Italian Festival of Arts and Humanities presso la Montclair State University
Segal Gallery Exhibit: An Italian Sense of Place I Featuring works by Giuseppe Morandi and Micio, and Angelo Novi. Runs through Feb. 9 / 2008 Italian Sense of Place I presents two complementary yet contrasting views of the Italian post-war photo-documentary tradition: Morandi and Micio’s powerful black and white images witness the lives of ordinary people from the Po Lowlands of northern Italy from within that world while the film-set photography of Novi’s documentation of Bernardo Bertolucci’s epic film 1900 describe that same world through the visual language of the cinema.
Exhibition Dates: 01/08/08 – 02/09/08
Opening Reception:January 29th, 5:30 pm
Curators: Paolo Barbaro, Andrew Atkinson, Nancy Goldring, Claudia Cavatorta
Link: Art Exhibition Reception- An Italian Sense of Place I: Works by Giuseppe Morandi and Micio, and Angelo Novi
LINK:http://www.montclair.edu/italianfestival/morandi_micio_novi.html
Symposium: Photography and Cinema in Post-War Italy – Neo-Realism and the work of Giuseppe Morandi and Micio, and Angelo Novi
Symposium: Photography and Cinema in Post-War Italy, 01/29/08, 2:30 – 5:30 p.m. Speakers: Paola Barbaro, University of Parma; Claudia Cavatorta, University of Parma; Victoria de Grazia,Columbia University and the European University in Fiesole; Stefano Albertini, New York University and Director of the Casa Italiana Zerilli-Marimo
Place: University Hall Conference Center
LINK: http://www.montclair.edu/italianfestival/morandi_micio_novi.html
Arti, volti e mestieri della Bassa Padana
Milano – mostra dal 10 ottobre al 5 novembre 2007
Giuseppe Morandi
Arti, volti e mestieri della Bassa Padana
presso il LIFEGATE CAFE’
Via Della Commenda 43 – Milano (Porta Romana)
Rassegna Stampa_Mostra Morandi_LifeGate_Cafe
L’esposizione riassume una storia costruita negli anni dal 1957-1958 al 1968-1970: anni in cui l’impiegato comunale Giuseppe Morandi decise di utilizzare una Rollei 6×6 per immortalare squarci di mondo
LifeGate Cafè, situato in Via della Commenda 43 a Milano, si propone ancora una volta come location d’eccezione per iniziative culturali di rilievo: dal 10 ottobre al 5 novembre il locale esporrà le opere di Giuseppe Morandi, fotografo, scrittore e regista cinematografico, nato a Piadena, in provincia di Cremona, nel 1937.
Dal 1957 l’artista lombardo, esponente della Lega di Cultura di Piadena, racconta con parole e immagini la cultura delle campagne, di cui intende documentare tradizioni e cambiamenti, modelli e valori. La mostra fotografica “Arti, volti e mestieri della Bassa Padana” tende a ripercorrere le usanze e le condizioni di vita dell’ambiente contadino dall’immediato Dopoguerra agli anni Settanta, fino ad oggi: un’indagine storica sui protagonisti del mondo rurale italiano e sulle loro battaglie per l’emancipazione. Scenari antichi che parlano al moderno, attraverso volti, gesti, sguardi e oggetti quotidiani. Ritratti dell’uomo che è casa, lavoro, paese, società.
L’esposizione riassume una storia costruita negli anni dal 1957-1958 al 1968-1970: anni in cui l’impiegato comunale Giuseppe Morandi decise di utilizzare una Rollei 6×6 per immortalare squarci di mondo. La Genia, i vecchi braccianti, Pierino Azzali alla fiera di Recorfano, il Micio, la pumatera Laura Poli…ecco le facce, gli occhi, le mani, che, scatto dopo scatto, costituiscono il racconto di Giuseppe Morandi. Un racconto che il regista Bernardo Bertolucci ha scelto di utilizzare per la pellicola “Novecento”, interpretata da Robert De Niro nel 1976.
Morandi compie un lavoro minuzioso e attento: fotografa i contadini e i loro mestieri, fissa “il fatto a mano” mentre le macchine stanno per cancellare un’intera civiltà, impressa in mille incontri tra le case e le cascine della Bassa Padana, avvolte dal tempo che scorre, inesorabile. Figure intense, dotate di una forza singolare e avvolgente. All’artista non interessa conservare gli oggetti, ma i gesti e i comportamenti: le sue opere ci narrano la storia di come si faceva, di come si operava, di come si lavorava la terra o di come si costruivano gli strumenti di lavoro.
Riferendosi all’arte di Giuseppe Morandi, Arturo Carlo Quintavalle afferma: “Credo che voglia scrivere un romanzo, oppure un lungo racconto sulle storie del suo paese. Per Lui le facce parlano, e anche per noi, abituati alle espressioni stereotipe dell’universo di città: anche per noi queste facce finiscono per parlare”.
VENTUNESIMA ESTATE
A Piadena (CR) presso il Palazzo Comunale (Piazza Garibaldi)
Fotografie di Giuseppe Morandi 1989-1993
Quando, circa tredici anni or sono, Giuseppe Morandi proponeva questa serie di fotografie intitolate Ventunesima Estate, molti rimasero perplessi, qualcuno scandalizzato. Succede quando un autore impone una brusca sterzata al suo modo di lavorare, ancor di più quando la sua opera, proseguendo una linea rigorosa che durava oltre trent’ anni, giunge ad esiti imprevisti, scarta quello che rischia di divenire luogo comune.
Morandi fotografa un amico giovane, Giuseppe Puerari; i primi scatti sono del 1989, quando Puerari è ancora un bambino, gli ultimi del 1993 quando è adulto, dopo il servizio militare.
Morandi è noto come fotografo, narratore, cineasta che racconta il mondo contadino, è capace di comporre storie corali prive di retorica e dense di un preciso senso di appartenenza ad un mondo e a una classe. Non è mai un illustratore ma un produttore di strumenti di lavoro culturale collettivo, strumenti semplici ma affilati come le sue immagini ben radicate nella cultura del realismo, quello di Strand e Zavattini e quello della fotografia sociale americana o della nuova oggettività germanica. E’ un intellettuale raffinato che ha sempre rifiutato il ruolo del pensatore (o ell’ artista) isolato e al di sopra della mischia, o del descrittore oggettivo: racconta la propria comunità dal suo interno ed in suo nome, con un punto di vista che gli deriva da un ragionamento politico. Allora come mai fotografa una sola persona, un solo corpo, anzi, inseguendo un tema così rischioso? Perché di discorsi sul passaggio dall’ adolescenza all’ età adulta è piena la storia della letteratura, della fotografia e del cinema, e purtroppo è una vicenda piena di storie intimiste se non sdolcinate, fuori da ogni implicazione collettiva che al massimo viene subita come contesto incidentale.
Tuttavia, se consideriamo come Morandi arrivi a questa serie possiamo capire alcuni fatti. Gli anni che seguono le prime pubblicazioni nazionali (I Paisan, da Mazzotta, 1979, e poi Volti della Bassa Padana, Cremonesi a Cremona, Quelli di Mantova, fino al 1991) vengono raccontati giustapponendo immagini dei contadini e del loro lavoro -dal 1957- e altre figure; l’ intenzione è sempre la stessa: rendere visibile una condizione, restituire la dignità dell’ immagine a chi ne era privato (i braccianti, i fittavoli, i bergamini…) e raccontare il cambiamento attraverso la figura delle persone. Al mondo contadino irrimediabilmente mutato e per molti aspetti scomparso Morandi affianca l’ analisi di un paesaggio umano locale; il ciclo sulle città non è il passaggio dal racconto rurale a quello urbano, è la storia di un cambiamento delle persone, del –mutamento antropologico- di cui parlava Pasolini. Alla fine degli anni Ottanta Morandi concepisce una serie che non verrà mai chiusa, più un’ ampia ipotesi di lavoro che il circoscrivere un tema, con un titolo folgorante: Corpi di lavoro e corpi di consumo. Il corpo quindi come terreno di dichiarazione sociale, come campo di evidenza della politica reale, della dimensione collettiva del vivere che prende sempre più evidenza, man mano che il lavoro diviene più astratto, che le ragioni economiche (politiche) dell’ organizzazione sociale divengono meno visibili. Il corpo, la figura, che continua a raccontare dopo che il lavoro finisce fuori campo, sempre meno evidente.
Morandi, allora, continua a fare quello che ha sempre fatto: racconta chi gli è vicino e conosce bene ma questa volta lo sguardo è insistente quanto privo di preconcetti.
Le fotografie scandiscono proprio il cambiamento del corpo, da quello di un bambino (ritratto con un amico) poi il servizio militare (attraverso l’ istantanea che gli scatta un commilitone) e il ritorno ad una vita che non lo soddisfa, il lavoro da muratore, il corpo che prende un’ evidenza statuaria, e il fotografo che non si vergogna di mostrarne la bellezza come le contraddizioni,; e poi la vita di tutti i giorni, la pesca, una intensa sequenza a casa, la discoteca, ed infine proprio l’ ultima cosa che resta, il corpo nudo, con l’ inquadratura che si ferma appena sopra il sesso e scatena altri dibattiti, altre polemiche. In fondo in queste foto non accade nulla se non lo svolgersi del vivere quotidiano, ma il mostrarlo appare volta per volta impudico, sfrontato, qualunquista, compiaciuto, voyeurista. Teniamo presente che quando la mostra è esposta, quando la Libreria Ponchielli di Cremona ne pubblica il libro (con le foto, una lunga dichiarazione di Giuseppe Puerari accreditato come coautore, una densa intervista di Morandi con Peter Kammerer) la Biennale d’ Arte di Venezia ha proprio –Il corpo- come tema, e contributi come quelli sul rapporto tra fotografia, corporeità, bellezza e impegno politico di Peter Berger , Rosalind Krauss, David Lévi Strauss sono ancora inediti o praticamente sconoscuiti.
Le successive serie di Morandi (da Uomini Terra Lavoro a La mia Africa, e il film I colori della bassa, in lavorazione) continueranno a scorrere storie collettive, e questo capitolo, questo affondo in una vicenda solo apparentemente privata, resterà isolato, ma solo in apparenza: Morandi ha dichiarato una volta per tutte che raccontare un mondo che cambia non può essere solo nostalgia di valori perduti e narrazione di condizioni scomparse. Guardare negli occhi il presente, senza pregiudizi e mettendovisi in gioco, ne è condizione indispensabile.
Paolo Barbaro
Luglio 2006